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L'uomo che dava la caccia ai nazisti. Le indagini su Marzabotto, Sant'Anna di Stazzema e le altre stragi compiute durante la guerra

di Marco De Paolis con Annalisa Strada.

L'uomo che dava la caccia ai nazisti. Le indagini su Marzabotto, Sant'Anna di Stazzema e le altre stragi compiute durante la guerra

“Sventurata è la terra che ha bisogno di eroi”, faceva dire Bertold Brecht nella Vita di Galileo al padre della scienza moderna. È una frase nota, spesso abusata, ma purtroppo sempre attuale. Una frase che calza bene alle vicende di Marco De Paolis, Procuratore Generale Militare, ora raccontate nel libro “L'uomo che dava la caccia ai nazisti. Le indagini su Marzabotto, Sant'Anna di Stazzema e le altre stragi compiute durante la guerra”, scritto in collaborazione con Annalisa Strada, autrice di libri per ragazzi e docente di Lettere nella secondaria di primo grado.
Diciamolo subito: se si cerca il nucleo di questo libro, il senso ultimo, l’escatologia – per usare un linguaggio caro alla religione, elemento importante nella narrazione dell’autore, che cita non a caso San Paolo sulla verità – quello di Marco De Paolis non si può definire in senso stretto un libro di storia. Pur occupandosene, non è un testo che tratta “tout-court” della Seconda Guerra Mondiale, dell’occupazione nazista in Italia tra il 1943 e il 1945, della collaborazione fascista nelle stragi civili o della resistenza partigiana. E non è nemmeno – almeno nell’ottica di chi scrive, ma se ne può discutere a lungo – un libro che si potrebbe catalogare tra quelli sulla “Memoria”.
Di cosa tratta, allora, il volume di Marco De Paolis? Si potrebbe dire che il libro si pone come una pedagogia della giustizia, spiegata ai più giovani attraverso il suo percorso di vita e la sua attività lavorativa.
Il punto di partenza è il 1994, con la (ri)scoperta dell’ “Armadio della Vergogna”, dopo la denuncia del giornalista Franco Giustolisi. Come scrive Annalisa Strada nella prefazione:

"L’Armadio della Vergogna era, letteralmente, un armadio di quelli che si vedono negli uffici pubblici: semplice, funzionale, scialbo. Si trovava all’interno della Procura Generale Militare di Roma, a Palazzo Cesi, in fondo a un corridoio sbarrato da un cancello chiuso con un lucchetto. Non bastasse, era voltato con le ante contro il muro. [pp. 21-22]"

Prosegue sempre Annalisa Strada, dall’Armadio:

"uscirono 695 fascicoli, ossia cartellette che contenevano descrizioni di reati, nomi di presunti colpevoli, testimoni, fotografie, mappe, interrogatori: insomma, tutto ciò che serve per avviare un’indagine e magari arrivare a un processo [p. 23]."

La quota più corposa di quei fascicoli fu inviata alla Procura Militare di La Spezia, dove operava appunto Marco De Paolis, che avviò le indagini e i processi sulle stragi nazifasciste nei territori compresi tra la Liguria, la Toscana, l’Emilia Romagna e le Marche.
Di questo si occupa il libro, raccontando il tentativo di fare giustizia. A questa parola bisogna accludere almeno due significati. Da una parte è presente il senso profondo, teorico, la Giustizia con la lettera maiuscola, come usa scrivere l’autore. “Il dovere di dare risposte a chi aveva subito la più grande delle ingiustizie”, ad esempio; oppure, citando sempre De Paolis, “il senso di questa giustizia era uno solo: onorare le vittime delle atrocità della Seconda Guerra Mondiale”. È un senso molto simile a quello che anima molti storici, tra ricerca della verità e volontà di onorare le vittime.
Alcuni concetti chiave animano questa Giustizia, come la riflessione attorno alla responsabilità degli imputati, tema già nodale nel Processo di Norimberga. Vale la pena riportare integralmente la riflessione di De Paolis sulla catena di responsabilità nelle stragi:

"Tra gli imputati nei processi per le stragi nazifasciste ci sono stati anche militari che non avevano ammazzato nessun civile di mano propria ma sono stati ugualmente condannati, in quanto con le loro azioni hanno comunque contribuito a rendere possibili gli eccidi poiché comandavano un reparto o contribuirono a organizzare la strage. Si è responsabili anche se si è stati solo un anello della catena, perché basta un anello anche piccolo che si oppone e la catena si spezza. È una regola che dovrebbe valere in ogni circostanza dell’esistenza. Bisogna sempre avere piena consapevolezza degli effetti delle nostre azioni, perché di esse bisogna sempre assumersi la responsabilità [p. 82]."

Dall’altra parte, però, De Paolis accompagna questi discorsi spiegando – in maniera semplice, accessibile – i meccanismi che regolano o sostanziano la giustizia, la necessità di confrontarsi con i cavilli e con la precisione del proprio agire. In questo senso fornisce ai ragazzi alcuni strumenti, per esempio, spiegando chi è o cosa fa un (PM) Pubblico Ministero o un GIP (Giudice per le Indagini Preliminari); come ha intrapreso ed è proseguita la carriera di procuratore militare; come si svolgono le indagini ed i processi. Lo riteniamo un orientamento interessante soprattutto per la curiosità dei più giovani, che possono comprendere il funzionamento di questo lavoro e dei percorsi per giungervi.
A indagini e processi è dedicata la terza ed ultima parte del volume. Dai casi più famosi – Sant’Anna di Stazzema e Marzabotto, non a caso nel sottotitolo del libro – alle stragi meno note. Gli autori forniscono varie informazioni – i fatti, le vittime, il tribunale che se ne è occupato, gli imputati – ricostruendo la storia, i processi, gli esiti delle sentenze. De Paolis fornisce una personale geografia delle stragi su cui ha lavorato per competenza territoriale. Ne rimangono fuori ovviamente alcune, spesso senza processo, come testimonia l’Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia, realizzato dall’Associazione Nazionale Partigiani Italiani (ANPI) e dall’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia (INSMLI).
Rinviando alla lettura del libro per eventuali approfondimenti, ci soffermiamo in conclusione sulla strage di Cefalonia, la quale – come scrive lo stesso De Paolis – “è una parentesi a sé nel quadro generale delle stragi raccontate in questo libro perché ha riguardato non la popolazione civile ma dei militari” [p. 141]. È proprio questa strage che consente una riflessione generale sul lavoro di De Paolis, intersezione tra giustizia, storia e memoria. Come dichiara l’autore su Cefalonia: “Ero dispiaciuto e preoccupato che la più grande strage di militari italiani, morti per mano dell’ex alleato, non avesse mai avuto nemmeno un tentativo di giustizia” [p. 148]; così come, annota De Paolis, il processo si svolge in aule semi-deserte, senza il pubblico che aveva accompagnato gli altri. “Una Storia senza memoria”, come l’ha definita Mario Pirani, complessa per le dinamiche in cui è avvenuta. Una storia su cui cercare comunque la verità, anche quando l’oblio sarebbe più semplice.

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Per approfondire il libro con l'autore si veda l'intervista al link

 

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