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Se solo il mio cuore fosse pietra

Titti Marrone

Se solo il mio cuore fosse pietra

Ne La Tregua, Primo Levi raccontava le difficoltà del ritorno, le peripezie affrontate nel viaggio verso casa. Levi era un uomo adulto, persino istruito, che si trovava a barcamenarsi in situazioni complicate, smarrito nel continente europeo. Nel libro di Titti Marrone vengono ricostruite le vicende di quei bambini ebrei che, sfuggiti alle persecuzioni, alle deportazioni o alla morte nei campi di sterminio, verranno assistiti nel dopoguerra. Se già è difficile avvicinarsi emotivamente al tema dell’infanzia nella Shoah, le domande che scaturiscono – e a cui prova a rispondere – dal volume di Titti Marrone contengono un potenziale sensibile non facilmente affrontabile: cosa successe a tutti quei bambini e quelle bambine che sopravvissero ai campi di sterminio? Dove finirono? Si riunirono alle loro famiglie? E quando quelle stesse famiglie non erano sopravvissute ai campi di sterminio?

Il libro Se solo il mio cuore fosse pietra racconta le vicende di Anna Freud e soprattutto di Alice Goldberger a Lingfield, in Inghilterra, dove presso una villa privata viene organizzato un centro di accoglienza - una “casa di accoglienza senza punizioni”, come la definisce l’autrice – per bambini provenienti dalle tragedie della Shoah, e in particolare dai campi di sterminio, dagli orfanotrofi, dai conventi dove erano stati rinchiusi o raccolti. La storia che ne viene fuori è intanto una storia di assistenza per 25 bambini tra i 4 e i 15 anni. Ma è soprattutto una “cura”, ci permettiamo di dire. Freud, Goldberger e il gruppo che lavora nella vita si trovarono ad affrontare dei traumi mai visti prima, che riaffiorarono sia lentamente, sia violentemente nella coscienza dei piccoli sopravvissuti. Il racconto è sul tentativo di restituire una vita possibile a quei bambini. I piccoli ospiti del cottage a Lingfield mostrano una disabitudine alla quotidianità, al mangiare, al farsi la doccia; “in genere tutti hanno incubi, difficoltà ad addormentarsi, molti si succhiano il pollice e soffrono di enuresi” [p. 149]; ma anche ai rapporti umani o con gli animali sono difficili, soprattutto con gli adulti. In loro è scomparsa la fiducia verso gli altri, come mostra l’episodio del bambino che rifiuta le caramelle perché convinto che fossero avvelenate.
Nel volume di Titti Marrone, in ogni singola storia, sono contenuti tanti episodi di questo tipo, che restituiscono in maniera immediata la disabitudine di quei bambini. Come quando, di fronte alle tavole imbandite preparate di Lingfield, i bambini continuano a nascondere il pane ammuffito nelle tasche e a mangiarlo di nascosto, preferendolo alle prelibatezze preparate appositamente per loro. Il pane era l’unico cibo conosciuto nei lager. Soltanto dopo alcuni giorni cominciano a fidarsi del fatto che quel cibo ci sarà ogni giorno.
Sono storie che si possono racchiudere nella frase rivolta al piccolo Ervin: “la guerra era finita ma per Ervin ne era cominciata un’altra” [p. 123]. Ci vorrà del tempo, e soprattutto tutto il lavoro profuso dalla Goldberger e dalle altre, per far ritrovare a questi bambini la fiducia. E ancora del lavoro per (ri)trovare una casa o una famiglia, tra delusioni e invidie, abbandoni e ricongiungimenti.

Freud e in particolare Alice Goldberger si trovano soprattutto a dover imparare molto nell’approccio con i bambini, a sperimentare, a capire e di conseguenza agire. Come sostiene la stessa autrice in un’intervista, in quel momento, di fronte ad una esperienza quasi incommensurabile, Anna Freud getta le basi della psicologia infantile.
Il lavoro non si limita a dare un riparo o a stabilire un rapporto con questi bambini. Da Lingfield proviene anche un aiuto pratico: la ricerca dei genitori dei bambini o di persone disposte ad adottarli lo testimonia, tra delusioni e piccoli successi.
A proposito di successi, tra le storie dei 25 bambini ospitati a Lingfield, c’erano anche due bambine italiane: Tatiana e Andra Bucci, sopravvissute alla Shoah perché scambiate per gemelle; la storia è raccontata dalla stessa Titti Marrone in “Meglio non sapere” (2003) e dal cartone animato La stella di Andra e Tati (2019), e sarà proprio il ricongiungimento con la madre a racchiudere tutto il dramma della guerra e il lavoro effettuato a Lingfield. Le storie da scoprire nel volume sono tante, ognuna con il suo portato di dolore e cura. Tra queste viene ricordata anche quella del piccolo Sergio De Simone, cugino delle sorelle Bucci, che a Lingfield non arrivò mai. Sergio – come scrive l’autrice riferendosi alla Goldberger – “era tutti i bambini che lei [Alice Goldberger] avrebbe voluto accogliere, curare, restituire all’infanzia”. A Sergio l’autrice scrive, in conclusione.

La storia raccontata in Se solo il mio cuore fosse pietra è soltanto una parte dell’assistenza prestata ai bambini ebrei nel dopoguerra, soprattutto da parte del Jewish Refugee Comitee; è una parte dell’assistenza mondiale, dell’umanitarismo in generale. Sebbene come ha notato Silvia Salvatici, l’umanitarismo ha una storia molto lunga, nel secondo dopoguerra c’è un vero cambio di passo.
In questo senso, tra i vari temi emersi da questo denso racconto, bisogna ritornare al cuore della questione: l’infanzia dopo i traumi della guerra, delle deportazioni, del razzismo e dell’antisemitismo. Il volume di Titti Marrone fa il paio con un altro libro, uscito recentemente in Italia: “Il colore della Repubblica. ‘Figli della guerra’ e razzismo nell’Italia postfascista”, di Silvana Patriarca, docente di Storia Europea contemporanea alla Fordham University di New York. Patriarca racconta le vite e i destini dei bambini di colore nati da unioni miste, i “brown babies”, nonché delle istituzioni e delle famiglie che se ne occuparono.
È un grande affresco del razzismo – e dell’antirazzismo, tema su cui forse non insiste abbastanza l’autrice – dell’Italia nel dopoguerra, nel dopo-razzismo. È soprattutto un racconto di infanzie difficile, di brefotrofi e orfanotrofi, di mancati riconoscimenti e di “ricerca del genitore scomparso” [Patriarca 2022, p. 189], di abbondoni e di perdite non sanate.
Elementi che accomunano i due volumi e che ci avvertono sul pericoloso incrocio tra guerra e infanzia, infanzia e razzismo o antisemitismo, a cui siamo chiamati a rispondere attraverso l’educazione e l’impegno civile.

Bibliografia
Patriarca Silvana. Il colore della Repubblica: figli della guerra e razzismo nell'Italia postfascista, Torino, Einaudi, 2021.
Salvatici Silvia. Nel nome degli altri: storia dell'umanitarismo internazionale, Bologna, Il mulino, 2015.

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