Marco Ventura
Il fuoruscito
Storia di Formiggini, l'editore suicida contro le leggi razziali di Mussolini
Nel corso degli ultimi anni si è sviluppato un grande interesse attorno alla figura dell’editore Angelo Fortunato Formiggini, testimoniato da un ampio numero di mostre, libri, ricerche e biografie in genere, a cui si aggiunge il prezioso volume di Marco Ventura “Il fuoruscito: storia di Formiggini, l'editore suicida contro le leggi razziali di Mussolini” (pp. 300-302).
La ragione è semplice: è stata una figura prismatica. Editore e scrittore, “mecenate”, come lo definisce Ventura, soprattutto vivace animatore culturale (tra le iniziative ricordiamo la Fondazione Leonardo e il progetto di una "Grande enciclopedia italica" del 1922), Formiggini condensa infatti vari interessi di ricerca e di riflessione, individuali e collettivi, che racchiudono motivi che variano dall’Italia liberale a quella fascista.
Soltanto per fare alcuni esempi: le conseguenze delle leggi antiebraiche in Italia sulla vita delle persone, in primis, di cui l’editore rappresenta un simbolo, anche per il suo ultimo gesto; il legame tra l’identità ebraica e la storia italiana postunitaria che attraversa varie fasi; ancora, la complessa storia dei rapporti tra editoria, fascismo e alcune figure di spicco (come Giovanni Gentile), peraltro approfondita tra gli inizi degli anni ’90 e 2000 da alcuni lavori di carattere storiografico – simili e molto diversi, come quelli di Fabre e Galfrè.
Il volume di Marco Ventura ripercorre questi elementi e ne aggiunge altri. Ne segnaliamo alcuni, lasciando poi spazio alla lettura che si rivela particolarmente avvolgente. Intanto, l’autore prova a dare un’anima all’editore scegliendo la forma del romanzo, alternando il racconto tra prima e la terza persona.
Ne viene fuori una domanda: chi è Formiggini o come si percepisce?
Modenese, italiano, “ebreo, anche” (p. 23), con un profondo “attaccamento alla città, alla provincia e alla patria” (p. 43). Già solo questa riga sintetizza l’ampiezza del personaggio. È uno dei principali pregi del testo che emerge in maniera chiara: la complessità di affrontare le identità, il necessario travaglio di qualsiasi (romanzo di) formazione, la mutevolezza e i cambiamenti. È una lezione che anche – o forse soprattutto – sul piano didattico ritorna utile: è impossibile raccontarsi sempre allo stesso modo, senza le cesure e le continuità.
L’identità è comunque un tema a cui l’autore dedica ampio spazio, ad esempio quando si sofferma sui mesi precedenti il suicidio, ripercorrendo con esattezza analitica e afflato umano la vicenda. Scrive Ventura:
“Qui c’è una crisi d’identità, il senso di un’ingiustizia troppo grande. La necessità, l’urgenza, di ristabilire un principio, un equilibrio faticosamente raggiunto. E tutto ciò ha a che fare – che Emilia [la moglie di Formiggini] se ne renda conto o meno, lei che israelita non è – con l’identità ebraica di Angelo Fortunato, che le leggi razziali fanno prepotentemente riemergere, contraddicendo e forse annientando il suo assimilazionismo oltranza, il suo non voler essere definito esclusivamente a oltranza, il suo non voler essere definito esclusivamente, nella propria essenza di uomo, dall’appartenere alla comunità israelitica. Con il risultato di ritrovarsi confinato nel suo ebraismo di sangue. Censito, schedato, discriminato”. (p. 268).
Sono tante le questioni che convergono e che possono essere approfondite attraverso la lettura. È importante segnalare soprattutto come accanto alle costanti, in fondo, ci siano sempre i dubbi, in un abbraccio continuo.
Tra le costanti annoveriama il legame con la città emiliana, talmente forte che per tutti l’editore diventa il “Furmajin da Mòdna”; è il luogo dove nasce e dove muore, gettandosi dalla torre Ghirlandina, un simbolo assoluto della città. Questo legame è un aspetto che coglie bene Ventura il quale – forse inconsapevolmente – propone una storia famigliare e di comunità, soffermandosi nella prima parte del volume sulla storia degli ebrei a Modena.
Gli snodi sono tanti, però, e forse però potrebbe essere maggiore il collegamento con la grande storia; a cominciare dagli anni di formazione, dove peraltro l’autore riflette sull’identità ariana e quella semita, proponendo “un ravvicinamento”. È una costante di Formiggini. Ventura lo definisce l’uomo delle contraddizioni, forse semplicemente perché è un uomo che tenta sintesi complesse; un uomo che unisce la leggerezza e la gaiezza del vivere – e della scrittura – con la tragicità finale del suicidio.
Un altro snodo è la Prima guerra mondiale, come lo è per tanti ebrei italiani. Un punto dove si incontrano la storia collettiva e quella individuale. Angelo Fortunato Formiggini parte il 24 maggio 1915 per il fronte. La moglie, Emilia Santamaria, ha la sua di guerra – parafrasando il libro “La mia guerra” che pubblica sulla sua esperienza – ed è fatta di assistenza, come quella di tante donne durante il primo conflitto mondiale.
Ecco. In un buon romanzo non bisogna mai far mancare i co-protagonisti. Emilia Santamaria è anche lei una figura prismatica come lo stesso Formiggini: pedagogista e storica della scuola, autrice e insegnante, soltanto per citarne alcune. Meriterebbe tante altre biografie oltre quelle già prodotte.
A lei tocca scrivere il necrologio del marito: “A. F. Formiggini, editore-maestro abbandona la terra lasciando ricordo imperituro di spirito libero, profondamente italiano, di dedizione assoluta alla coltura patria”. Si ritorna alla definizione sopracitata.
A lei tocca combattere per la memoria del marito.
Se in una recensione di un buon libro non si deve raccontare tutto, il seguente stralcio è rilevante per i temi del portale “Scuola e Memoria”. Il brano proviene dalle memorie di Enzo Levi, curate dal figlio Arrigo, che richiama fenomeni di antisemitismo prima del 1938 a scuola, nell’incontro soprattutto con i colleghi cattolici. Scrive Ventura:
“‘Le prime impressioni e i primi ricordi che si ricollegano alla mia qualità di ebreo’, scrive Levi nell’incipit delle memorie, amorevolmente corrette e riviste dal figlio Arrigo, ‘sono comuni a quelli dei giovani ebrei del mio tempo, i quali, frequentando le scuole, entrano a contatto con ragazzi cattolici’. La qualifica, o l’epiteto, di ‘ebreo’, viene sbattuta in faccia al compagno di classe o di scuola come un’offesa, accompagnata da espressioni di scherno o disprezzo”.
Quello degli episodi di antisemitismo prima delle leggi razziste è un tema poco indagato dalla storiografia, ma che trova una straordinaria attualità nel ripensare l’intero fenomeno e il suo rapporto con il 1938, e che potrebbe diventare un ottimo suggerimento o perlomeno uno spunto di riflessione per la comunità degli studiosi e non solo.
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Bibliografia citata
Fabre Giorgio, L'elenco: censura fascista, editoria e autori ebrei, Torino: Zamorani, 1998
Galfré Monica, Il regime degli editori: libri, scuola e fascismo, Roma: Laterza, 2005
Padroni Carlotta, Emilia Formìggini Santamaria storica della pedagogia e della scuola, Roma: Aracne, 2004.
Pederzoli Elisa, “L’arte di farsi conoscere”. Formiggini e la diffusione del libro e della cultura italiana nel mondo, Roma: Associazione Italiana Biblioteche, 2019.